Per quanto estremamente complessa da attuare, l’idea di un tetto al prezzo del petrolio e del gas sembra non essere più soltanto un’ipotesi.
Una conferma in questo senso è arrivata dall’incontro tra Draghi e Biden.
Due essenzialmente le idee sul tavolo. Da un lato l’ipotesi di un “cartello dei consumatori”, da contrapporre a quello dei produttori dell’Opec+Russia per avere una maggiore forza contrattuale, e dall’altro quella – secondo Draghi più facilmente percorribile – di un lavoro di persuasione verso le oil countries per riequilibrare le estrazioni e calmierare i prezzi.
Dall’incontro di Washington è emersa comunque la necessità di agire in qualche modo, visto che Europa e Usa sono “entrambe insoddisfatte di come stanno funzionando le cose”, perché “i prezzi non hanno alcun rapporto con la domanda e l’offerta”.
Qui bisogna fare una premessa: il prezzo alla pompa di benzina e diesel è formato da un insieme di voci, che comprendono non solo il costo della materia prima – ossia il prodotto petrolifero derivato dalla raffinazione del petrolio, a sua volta esposto alle dinamiche di mercato –, ma anche altre componenti, come Iva e accise.
Il punto di partenza è sempre la quotazioni del petrolio Brent, fondamentale base per stabilire i prezzi sul mercato dei carburanti, pur con tutti i passaggi intermedi nella catena del valore. Perciò, se davvero verrà fissato un price cap del greggio, gli effetti sui prezzi di benzina e diesel si vedrebbero eccome. Tutto sta nel capire quale potrebbe eventualmente essere questo tetto.
Il limite massimo, in ogni caso, non sarebbe troppo basso, perché non converrebbe agli Stati Uniti, primi promotori di questa iniziativa, dove i costi di estrazione attraverso il fracking sono ben più alti rispetto ad altri produttori globali. Il segreto per l’Occidente starebbe nel trovare un livello sufficiente e che possa andare bene sia agli Stati Uniti che all’Unione europea.
Fonte: Motor1